
Festival del Film di Roma. Secondo e terzo atto
ROMA – Seconda giornata della sesta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma (quella di ieri 28 ottobre) all’insegna del divertimento con Le avventure di Tintin, firmato dal fantasmagorico sodalizio Steven Spielberg / Peter Jackson (l’autore della trilogia de Il signore degli anelli, per intenderci). Red carpet non molto gremito, però, né visibilmente eccitato per la sola presenza di Jamie Bell, attore protagonista (ex Billy Elliott), anche se come modello oper motion capture, della spumeggiante e promettente pellicola in 3D. Non è, dunque, bastato il festoso arrivo dei personaggi tradotti in carne ed ossa sulla passerella capitolina, trasformata per l’occasione, in un carnevalesco revival di soggetti fiabeschi. Folta (ovviamente in proporzione) la presenza adolescenziale così come consistente è stato l’arrivo di fan personalmente interessati (soprattutto teenager) all’interprete principale. Stando alle considerazioni generali, il film sembra aver destato soddisfazione mista a cenni di stupore per una regia (naturalmente) impeccabile adibita a sviluppare una trama già conosciuta ma, proprio per questo, innalzata a pilastro stilistico portante per un’esperienza sensoriale con pochi precedenti.
Le prime reazioni emotivamente più intense (oltre al sem-capolavoro bessoniano di apertura), però, sono state rinvenute sull’onda del buon Poongsan di Juhn Jaihong, interessantissima pellicola sudcoreana in concorso, narrante le vicende di un taciturno ma invincibile (o quasi) “trasportatore” di esseri umani da una parte all’altra del confine con il solo scopo di riunire, fin dove possibile, famiglie divise per cause di forza maggiore. In perenne contrasto tra amore e odio e slo in linea apparentemente introspettiva, Jaihong sviluppa, di pari passo con l’andamento filmico di ritmo gradualmente sempre più accentuato, una pellicola intrisa di una violenza direttamente proporzionale alla rabbia cieca che il regista stesso sembra esprimere a chiare lettere (anche se non per vie verbali) attraverso i lineamenti di un essere umano (prima a ancora che personaggio) non difficilmente evidenziabile come una sorta di corpus complessivo dei sentimenti più disparati e disomogenei identificabili in un luogo e in un tempo tra i più difficili dell’intera storia dell’umanità.
Il mio domani di Marina Spada (in concorso) è con molta probabilità il film più discusso e divisorio della rassegna, almeno fino a questo momento. Tra i pareri più disomogenei, è stato possibile evidenziare una sostanziale pecca costituita da circostanze intrise di ripetività, lentezza (che non è mai un errore se la si tratta con cognizione di causa) e potenziale insensatezza di contenuti. Fatto sta che la pellicola, interpretata, tra gli altri, da una inedita quanto brava Claudia Gerini, sembra avere tutte le carte in regola per apirare al Marc’Aurelio.
Ad ogni modo, tra imigliori film (se non il migliore) finora visualizzati nel contesto della kermesse capitolina, senza dubbio ad avere realmente tutte (ma proprio tutte) le caratteristiche adatte per giudicare idonea la sua possibilità di gareggiare al premio come miglior film sembra averle proprio Il paese delle spose infelici (la cui anteprima è prevista per questa sera alle 22:00) del talentuoso trentunenne Pippo Mezzapesa, un meticoloso e mai banale spaccato di vita suburbana barese (argomento già di per sé difficile da trattare senza incappare in facili scontatezze modaiole) incentrato su due amici adolescenti (l’uno in difficili condizioni sia esistenziali che di vita materiale, l’altro introverso, timido e bile di sentimenti) innamorati, entrambi, di Annalisa, una bella e giovane donna con lievi disturbi mentali causati, forse, dalla morte del futuro marito poco prima delle nozze. La donna diviene presto l’emblema del senso stesso del contrasto tra partire o restare, forti di quel senso d’amore universale che costringe o spinge individui di carattere diverso (seppur accomunati dall’abitare sotto lo stesso cielo) ad amare, odiare, sognare, chiudersi a riccio i se stessi o esternare i propri personali stati d’animo in quanto individui e non frutti marci di una società (pasolinianamente relegata e sfocata sullo sfondo delle fabbriche più tossiche ed inquinanti) troppo distratta dalla continua smania di falso progresso.
Considerando A few best men di Stephan Elliott come un’ottima commedia di sadica ironia tipica dei paesi anglosassoni ma non propriamente azzeccata per un passaggio in un qualsivoglia festival intenazionale che (si suppone) voglia mantenere comunque un certo decoro (anche se il film è indubbiamente meritevole di una serata con amici), per oggi 29 ottobre, inoltre, sono in programma almeno altre due pellicole importanti. La prima, Like crazy di Drake Doremus (fuori concorso), è un delicatissimo spaccato di vita vissuta riferito ad una coppia di “folli” amanti, Anna e Jacob (lui americano, lei inglese), impossibilitati a fare realtà dei loro sogni di esistenza insieme a causa di un visto revocato e appellato che non concede alla protagonista (una bravissima Felicity Jones, già premio speciale della giuria al sundance Film Festival) di raggiungere il suo amore in maniera definitiva dopo gli studi universitari. Ne scaturisce un andirivieni di frequentazioni non corrisposte, tempi morti di vita mancata, dolori e mancanze reciproche che costringeranno i due a prendere decisioni tanto drastiche quanto necessarie per un futuro comunque incerto e difficile. La seconda, invece, altra potenziale candidatura al Marc’Aurelio, è Hotel Lux di Leander Haussmann (in concorso), storia ambientata nella Berlino nazista e incentrata su un comico donnaiolo autore e interprete di uno ”Stalin-Hitler-show” nei quali veste i panni del dittatore russo mentre un amico ebreo lo affianca inscenando la figura del fuhrer. Al mutare dell’atmosfera politica, però, i due saranno costretti chi alla fuga chi alla resistenza pur di salvaguardare le rispettive vite. Ma proprio durante una di queste fughe, il protagonista, invece di atterrare ad Hollywood, come era convinto di voler fare, si ritroverà all’hotel Lux di Mosca, luogo in cui riuscirà ad affiancare lo stesso Stalin per recitare “il ruolo della sua vita” in una “messa in scena esistenziale” durante la quale lo stesso dittatore russo comincerà a “recitare” una pericolosa commedia.
Stefano Gallone