
Da Cuba e Moro, successi e fiaschi della diplomazia vaticana
Papa Bergoglio elemento chiave della riappacificazione tra Usa e Cuba; ma i suoi predecessori non sono stati da meno. Eppure molti li ignorano
Città del Vaticano – La pagina di storia scritta ieri da Obama e Castro ha radici argentine e cristiane. Stalin domandò sarcasticamente di quante divisioni fosse dotato il Papa, polemizzando sulle posizioni di Pio XI in merito al pericolo europeo di una nuova guerra; ma se papa Ratti all’epoca non rispose, a dare un peso determinante al papato nella storia politica del XX e del XXI secolo è stata senza dubbio la diplomazia vaticana, con il Pontefice stesso in prima fila.
CUBA – Lo storico sblocco della “questione cubana” è merito anche dell’impegno diplomatico di papa Bergoglio: ad ammettere il ruolo di Francesco nel felice epilogo di decenni di guerra fredda è il New York Times, il giorno stesso dell’annuncio di Obama. I ringraziamenti rivolti a Francesco tanto da parte di Obama quanto da parte di Raul Castro, poi, sono non solo il riconoscimento di un ruolo politico, ma di un peso determinante nel movimento per la pace: «Ringrazio papa Francesco, esempio di come il mondo dovrebbe essere».
DIPLOMAZIA – A inizio dicembre una intervista al cardinale Parolin – segretario di stato – per Radio vaticana aveva sottolineato i criteri dell’azione della diplomazia vaticana: «Gli obiettivi propri della diplomazia pontificia consistono nel costruire ponti, sostenere sempre il negoziato e il dialogo come mezzo di soluzione dei conflitti, promuovere la pace e lottare contro la povertà». Un impegno costante, che raccoglie spesso frutti insperati, come il disgelo tra Cuba e Stati uniti: «la Chiesa non è una specie di mondo parallelo – aveva anche aggiunto Parolin – L’orizzonte della sua missione è il mondo».
CRISI DEI MISSILI – Dal 15 al 28 ottobre 1962 il pianeta si trovò sull’orlo di una guerra nucleare; la crisi dei missili cubani spinse sull’orlo del baratro Stati uniti e Unione sovietica, minacciando di trascinare con sé i due blocchi. Nelle ore più cupe, il radiomessaggio di Giovanni XXIII, impegnato anche nelle prime sessioni del Concilio vaticano II, illuminò di speranza da Roma il mondo: nonostante le fonti ancora tacciono, mentre pubblicamente spiegava che «la Chiesa non ha nel cuore che la pace e la fraternità tra gli uomini, e lavora, affinché questi obbiettivi si realizzino», il Papa organizzava incontri e tesseva legami diplomatici per scongiurare un conflitto di indicibile violenza. Il ruolo pontificio fu sottile ma decisivo; per quanto rimasto silente, a testimoniarlo sono i ringraziamenti ufficiali: «in occasione delle sante feste di Natale La prego di accettare gli auguri e le congratulazioni… per la sua costante lotta per la pace e la felicità e il benessere». Parole quasi d’occasione, sembrerebbe, se non provenissero da un appunto inviato da Kruscev, leader ateo e comunista dell’Unione sovietica, atea e socialista.
MORO – Anche nel rapimento Moro l’impegno del Vaticano, della sua diplomazia e del Papa in prima persona fu al centro della attenzioni; Paolo VI, che era legato allo statista italiano da un rapporto personale, non si riprese mai davvero dalla sua morte e, dopo soli tre mesi morirà anche lui, affranto per non averlo potuto salvare. Fu un insuccesso della diplomazia e dei servizi vaticani – la cui esistenza, d’altronde, non è mai stata confermata da nessuno – ai quali è però sempre stato riconosciuto un impegno limpido e costante, caratteristiche che non si possono purtroppo conferire alle altre forze – compresi gli agenti italiani – che lavorarono sul caso.
SOLIDARNOŚĆ – Papa polacco, missione polacca. La pacificazione e la caduta del regime comunista in Polonia sono da imputarsi anche al contributo di Solidarność, sindacato clandestino e di ispirazione cattolica, che fece dell’anticomunismo la sua cifra caratterizzante. Solidarność si distinse nei movimenti di popolo per la libertà grazie anche alla sua scelta di non violenza radicale: Walesa – che poi sarà presidente polacco liberamente eletto – e il suo staff investirono energie affinché ogni manifestazione fosse all’insegna del rifiuto della violenza e del totale pacifismo, marcando anche così la distanza con un regime comunista sempre più spietato e violento.
NOBEL – Con un curriculum del genere, quel che davvero manca al Vaticano è il riconoscimento formale del suo ruolo; non che serva davvero – la Chiesa lavora per una gloria differente da quella umana e con uno spirito di Carità che prescinde da ogni premio – ma sicuramente sarebbe giusto. Il Nobel per la pace, invece, sfugge da sempre alla Santa Sede e ai suoi provvisori occupanti, non meno meritevole di altre associazioni – come la Croce rossa o l’Unione europea – già ampiamente premiate in passato.
Andrea Bosio
@AndreaNickBosio