Concluso il Giro di Lombardia, i corridori vanno in letargo

di Marco Fiorilla

Gli Italiani deludono ma si punta sulle giovani promesse. Il bilancio della stagione 2009

Samuel Sanchez

Samuel Sanchez

Si è chiusa simbolicamente sabato scorso a Como, con la volata del belga Gilbert sul campione olimpico Samuel Sanchez, al termine di un emozionante Giro di Lombardia, la stagione ciclistica 2009. Già, simbolicamente, perché il ciclismo del XXI secolo non si ferma mai, è diventato globale. Si corre infatti ancora in Azerbaijan e in Guatemala, presto si correrà in Burkina Faso, in Giappone e in Cina. La Federazione Ciclistica Internazionale punta già da diversi anni alla diffusione dello sport del pedale in tutti i continenti, decisione lecita ma forse un po’ troppo guidata da logiche pubblicitarie che vanno a discapito delle storiche corse europee che di anno in anno vedono affievolire il loro fascino.

Il 2009 è stato l’anno del ritorno di Lance Armstrong. Il texano ha infatti tenuto banco a tutti i media rubando la scena a qualunque altro corridore. Al Tour de France, infatti, il vincitore Contador ha dovuto fare i conti con l’ombra dell’americano, suo compagno di squadra, che lo ha isolato psicologicamente nel corso delle tre settimane della Grand Boucle. Proprio Contador vincendo per la seconda volta il Tour, e in un contesto di squadra a lui avverso, ha confermato di essere il più forte ciclista per le corse a tappe, visto che è ancora molto giovane ed è dotato sia in salita che a cronometro. Il futuro è suo, ma già Armstrong, che per il 2010 dal nulla ha creato uno squadrone tutto suo, ha già fatto proclami bellicosi in vista del prossimo Tour che si annuncia molto duro.

Armstrong e Contador

Armstrong e Contador

Per gli italiani stagione di vacche magre. Il dopo-Bettini è tutto da costruire. Era dal 1989 che gli italiani non riuscivano a imporsi in nessuno dei grandi giri e in nessuna delle classiche monumento. Il Lombardia era l’ultima spiaggia ma nella classica delle foglie morte, con Cunego favorito, è andato in scena il film già visto tre settimane prima al Mondiale di Mendrisio: nelle fasi decisive il veronese ha dimostrato di non essere all’altezza degli altri che hanno raggiunto il picco stagionale tra la fine di settembre e i primi di ottobre, mentre il miglior Cunego è stato ammirato nelle prime settimane di settembre alla Vuelta di Spagna.

Cunego, insieme a Ballan e Pozzato, rimane comunque l’elemento su cui l’Italia deve puntare per vincere le grandi classiche anche se sembrano ormai difficilmente raggiungibili gli anni dei continui exploit di Bettini, Rebellin o Di Luca (quest’ultimi due miseramente incappati nelle maglie dell’antidoping).

Vincenzo Nibali

Vincenzo Nibali

Il rilancio tricolore per il 2010 passa da loro ma anche da Vincenzo Nibali. Il siciliano sta infatti raggiungendo gli anni della maturità con un chiodo fisso in testa: trionfare al Tour. Vincenzo ha già dimostrato di saper stare tra i grandi nelle salite che contano, e con l’aiuto di Ivan Basso potrà sicuramente crescere ancor di più e puntare almeno a un posto nel podio.

Per quanto riguarda le nuove leve, l’Italia sembra messa bene. Sono molti infatti i neoprofessionisti che promettono un futuro roseo e la gestione di questi atleti da parte dei Direttori Sportivi è fondamentale per poter portare avanti una generazione di piccoli campioni. Già in passato abbiamo assistito ad annate generose di campioni: il 1970 e il 1981 forse sono stati gli anni che hanno sfornato più talenti, adesso sembra che si possa ripetere qualcosa del genere con quei ragazzi nati tra il 1987 e il 1989. Stiamo a vedere.

Concludiamo questo breve resoconto sull’ultima stagione con una nota dolorosa. Il 2009 si è aperto e si è chiuso con due lutti improvvisi: a febbraio durante il Giro del Qatar è morto il giovane belga Friederiek Nolf, mentre è di poche settimane fa la scomparsa dell’ex fuoriclasse Frank Vandenbroucke. Non due morti avvenute in corsa, ma ai margini delle gare. Nolf è deceduto a causa di un infarto mentre dormiva in albergo; invece Vandenbroucke, che soffriva di depressione e più volte in passato aveva tentato il suicidio, a causa di una doppia embolia polmonare durante un viaggio in Africa. Sembrano due fatalità ma il ciclismo non è nuovo a queste inspiegabili tragedie. Nella depressione e nella droga erano piombati lo spagnolo Jimenez e il nostro Pantani, entrambi strappati precocemente alla vita dopo una carriera di successi; mentre alla stregua del povero Nolf, anche i nostri Denis Zanette nel 2003 e Alessio Galletti nel

Cunego e Ballan

Cunego e Ballan

2005 si sono spenti improvvisamente a causa di crisi cardiocircolatorie nonostante fossero atleti professionisti sottoposti ad approfondite visite mediche. Forse la Federazione Ciclistica Internazionale, oltre a diffondere il ciclismo nei paesi che non hanno nessuna tradizione ciclistica, dovrebbe ripensare alla tutela della salute dei corridori e a un modo per facilitare il loro inserimento nella vita normale a fine carriera.

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