
Catbond, quando la finanza gioca sui terremoti
La finanza è un mondo super efficiente. Il livello di efficienza raggiunto dal ventesimo secolo ad oggi è tale da abbassare e distruggere la resilienza di intere comunità, regioni e Paesi del mondo. Per intenderci, resilienza a livello sociale è quella capacità appartenente ad una comunità di resistere alle crisi economiche e non. Ogni crisi socio-economica provocata dalla scoppio di una bolla finanziaria dimostra anno dopo anno questa tesi. I disastri possono disgraziatamente essere provocati dall’uomo e dagli strumenti finanziari da lui progettati ma anche dalla natura. Ultimamente, le cronache hanno raccontato il disastro dell’ennesimo terremoto del Centro-Italia. L’ingegneria finanziaria si è occupata anche di questo: negli ultimi anni la tragedia del terremoto è stata trasformata in opportunità (per i broker e le assicurazioni): ecco come.
I CATBOND - La finanza, che secondo lo studio del 2014 della Banca d’Inghilterra attraverso le banche produce dal 93 al 97% del denaro circolante nelle economie avanzate, soppiantando la sovranità degli stati, si dedica anche ai terremoti con uno strumento finanziario: il Catbond. Il Catastrophe Bond, detto anche Act-of-God bond, è un titolo con il quale le assicurazioni e le imprese quotate possono preservarsi dal rischio di eventi sismici fatali e con il quale gli investitori possono avere rendimenti accattivanti ma anche il rischio di perdere tutto nel caso quella zona di riferimento definita nel bond sia colpita da un terremoto della gravità prevista nel contratto.
LA DIFFERENZIAZIONE DEL RISCHIO - L’idea non sarebbe neanche malvagia ne per chi emette, ne per chi compra i titoli nel caso in cui non esistessero vari “se” a questa affermazione. Il primo se è quello che i broker e le banche creano interi pacchetti di investimento per i loro clienti nei quali inseriscono anche questi bond, non sempre con la piena consapevolezza dell’investitore. Questi bond offrono da un minimo del 2 ad un massimo del 5-6% di rendimento, visto l’alto rischio. Il secondo “se” è di natura etica e dipende dal soggetto che la emette. Per esempio un’assicurazione avrà tutto l’interesse ad emettere i bond invece di rivendere su mercati secondari la polizza contro i terremoti stipulata da un proprio cliente; nel caso in cui invece sia una compagnia di interesse pubblico ad emettere i bond tramite una società SPV, Special Purpose Vehicle, nel caso di un terremoto a pagare saranno gli investitori con il proprio patrimonio. Quest’ultimo caso non è una fantasia, ma è avvenuto in Giappone dove nel 2007 la East Japan Rail Company stipulò una polizza da 260 milioni. A Tokyo sono stati emessi bond per più di un miliardo di dollari. Il terzo ”se” è probabilmente il più grave ed è legato all’economia reale. In un periodo di scarsa liquidità creato ad hoc dal sistema bancario, questi titoli contribuiscono con i loro alti tassi d’interesse a far stare lontano dal mondo reale il capitale che tanto servirebbe alla ripartenza dell’economia italiana ed europea.
UNIPOLSAI NON ESPOSTA IN UMBRIA - L’Italia non si è defilata dalla progressiva diffusione dei Cat Bond che esistono ormai da cinque anni sulle piazze finanziarie e da 3 in Italia. Proprio l’anno scorso UnipolSai puntò su questi titoli, creando Azzurro Re, il primo titolo catastrofi italiano del valore di 200 milioni. I rendimenti offerti furono del 2,5% più eventuali bonus e i titoli vennero emessi da Willis Capital Markets & Advisory (WCMA), Willis Group Holdings. La copertura per l’assicurazione era di tre anni e mezzo. La struttura del bond di UnipoSai prevede soglie ‘trigger’ di perdita potenziale per la compagnia derivante dall’evento a 500 e 700 milioni. All’indomani del terremoto di fine agosto in Umbria, Abruzzo e Lazio il portavoce di UnipolSai dichiarò tranquillamente che i 73 morti non contavano poi granché: il territorio per lo più rurale non era per nulla esposto e i CatBond erano salvi. Meno male, possiamo stare tranquilli, verrebbe da dire all’avido investitore. Scommettiamo che ad un cittadino di Amatrice, non verrebbero in mente le stesse parole.
Domenico Pellitteri