Caschi Blu della Cultura: chi sono e a cosa servono

Il sì dell'Unesco all'Italia: pronti a partire con i Caschi Blu della Cultura, una task force italiana per tutelare il patrimonio culturale internazionale

Il tessuto con la scritta all'entrata del Museo Nazionale dell'Afghanistan a Kabul, 2002 (Fonte foto: www.artemagazine.it)

Il tessuto con la scritta all’entrata del Museo Nazionale dell’Afghanistan a Kabul, 2002 (Fonte foto: www.artemagazine.it)

«A Nation stays alive when its culture stays alive». Questa è la frase che ispirerà il lavoro dei Caschi Blu della Cultura, il nuovo nucleo per la tutela del patrimonio culturale internazionale nato in collaborazione con l’Unesco, l’istituzione Onu che si occupa della cultura mondiale, e presentato a Roma lo scorso 16 febbraio alla stampa italiana ed estera. La proposta di costituire una task force per tutelare il patrimonio culturale internazionale è stata un’iniziativa del governo italiano, che infatti sarà il primo a scendere in campo con circa sessanta uomini per la difesa della cultura mondiale. La frase «Una Nazione è viva quando è viva la sua cultura» non è stata scelta a caso come slogan per il lavoro dei Caschi Blu della Cultura: essa è stata scritta, in persiano antico e in inglese, su un tessuto appeso in segno di sfida sull’ingresso principale del Museo Nazionale dell’Afghanistan a Kabul nel 2002. Durante i primi anni della guerra in Afghanistan, infatti, il Museo ha subito numerosi saccheggi e distruzioni e molti specialisti, tra cui anche restauratori italiani, hanno avviato una sorta di cantiere per la ricostruzione di quanto era stato danneggiato. Il cantiere si è chiuso nel 2009: durante gli anni dei lavori molti giovani afghani hanno imparato il mestiere di restauratore presso l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro di Roma. Proprio per riallacciarsi al lavoro svolto da questi studiosi in Afghanistan, i Caschi Blu della Cultura italiani hanno fatto propria la frase che campeggiava all’ingresso del Museo di Kabul.

I CASCHI BLU PER LA CULTURA: LA PRIMA SQUADRA È TUTTA ITALIANA – Durante la conferenza stampa di presentazione dei Caschi Blu della Cultura, il ministro Dario Franceschini ha specificato che «siamo il primo Paese che mette a disposizione dell’Unesco una task force dedicata alla difesa del patrimonio culturale mondiale». La squadra sarà composta da circa trenta carabinieri del comando tutela del patrimonio culturale e da un’altra trentina di specialisti tra restauratori, archeologi, storici dell’arte, ecc. I Caschi Blu non potranno intervenire nel corso di una missione militare ma solamente dopo, anche per formare la polizia e gli addetti ai lavori del posto. A Torino, intanto, è stato sottoscritto un documento per la fondazione di un centro internazionale di formazione e ricerca sull’economia della cultura e del patrimonio mondiale dell’Unesco.

Uno scorcio dell'antichissima città di Ebla, in Siria, scoperta dall'archeologo Paolo Matthiae (Fonte foto: www.bla.it)

Uno scorcio dell’antichissima città di Ebla, in Siria, scoperta dall’archeologo Paolo Matthiae (Fonte foto: www.bla.it)

«LA CULTURA È PACE» – A spiegarci dettagliatamente come funzioneranno i Caschi Blu della Cultura ci ha pensato il professor Paolo Matthiae, il famoso archeologo che ha scoperto in Siria l’antichissima città di Ebla tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, intervistato dal giornalista e archeologo Osvaldo Baldacci. Matthiae fa giustamente notare che i Caschi Blu della Cultura non potranno risolvere conflitti o intervenire in zone di gravissime crisi come la Siria o l’Iraq. Però ammette l’importanza del fatto che il problema del patrimonio culturale è entrato a far parte dei punti di discussione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, fino ad oggi sempre tenuto in secondo piano: «Mi sembra giusto che l’Onu prenda atto del fatto che la cultura debba avvicinare le nazioni anche quando economia e politica le allontanano, creando tensioni e conflitti. La cultura è il luogo del dialogo, il fondamento della pace».

Dopo quasi cinquant’anni di attività di studio in Siria, il professor Matthiae ci tiene a chiarire che la situazione lì è davvero gravissima. A causa della grande confusione che regna nel Paese, gli scavi archeologici clandestini infuriano da ogni parte; non solo: i siti storici sono occupati dalle forze armate di qualunque parte e devastati. Queste le parole del professore: «La cosa più grave sono le distruzioni intenzionali da parte dell’Isis, difficilissime da ostacolare. I governi di Damasco e Baghdad fanno un grande sforzo, anche a caro prezzo: sono quindici i funzionari statali che hanno perso la vita per tentare di salvaguardare i beni culturali. Inoltre, Damasco cerca di salvare anche i siti in zone controllate da ribelli che non appartengono all’Isis, attraverso un gruppo di gente locale che tutela i siti storici, archeologici e culturali a prescindere da chi controlla la zona, perché sono patrimonio di tutti».

Statua dell'antica città di Hatra devastata da miliziano Isis (Fonte foto: www.parlamentonews.it)

Statua dell’antica città di Hatra devastata da miliziano Isis (Fonte foto: www.parlamentonews.it)

IL PATRIMONIO CULTURALE DEVASTATO – La lista del patrimonio culturale mondiale devastato dall’Isis è lunghissima: in essa c’è tutto l’odio di chi vuole eliminare letteralmente qualsiasi traccia delle culture succedutesi prima dell’Islam.

Nel Gennaio 2015 l’Isis fa esplodere gran parte delle mura dell’antica città assira di Ninive, in Iraq. Distrugge con gli esplosivi anche le due statue leonine che si trovano alle porte di Raqqa, in Siria, divenuta capitale dello Stato Islamico.

Alla fine di febbraio 2015 l’Isis diffonde un video nel quale si vede la distruzione delle opere esposte presso il Museo Archeologico di Mosul, in Iraq,  la maggior parte provenienti dalle rovine della città assira di Hatra. Alcune delle opere, fortunatamente, erano solo copie in gesso.

All’inizio di marzo dello scorso anno l’Isis dichiara di aver distrutto l’antica città assira di Nimrud, risalente al XIII secolo a.C., che si trova a breve distanza da Mosul, e il filmato viene diffuso nel mese di aprile: in esso si vedono i miliziani attaccare, devastare e distruggere l’antichissima città. Sempre a marzo 2015 i peshmerga curdi denunciano la distruzione dei resti dell’antica città assira di Hatra, nonché il saccheggio e la distruzione delle rovine assire di Dur-Sharrukin.

Tra giugno e settembre 2014 l’Isis distrugge il mausoleo sciita di Fathi al-Kahen a Mosul, e mina la moschea di Al-Arbahin a Tikrit che contiene quaranta tombe dell’era omayyade dell’VIII sec. Esplodono anche una delle presunte tombe del profeta Daniele, la tomba con moschea del profeta Giona e quella del profeta Jirjis, tutte a Mosul. Esplode il santuario dell’Imam Awn al-Din

A febbraio 2015 è fatta esplodere la moschea Khudr a Mosul; la moschea Al-Qubba Husseiniya sempre a Mosul, la moschea Jawad Husseiniya e il mausoleo di Saad bin Aqil Husseiniya a Tal Afar; esplode anche il mausoleo sufi di Ahmed al-Rifai e la cosiddetta Tomba della Fanciulla (Qabr al-Bint) a Mosul.

Ancora, nel marzo 2015: in Libia l’Isis distrugge santuari sufi vicino a Tripoli. Dal giugno 2014 l’Isis ha iniziato la distruzione sistematica di tutte le chiese nei territori da esso controllati: fra le vittime eccellenti la Chiesa Verde (VII sec.) a Tikrit, uno dei monumenti più antichi della cristianità in Medio Oriente.

Mariangela Campo

@MariCampo81

(Fonte lista patrimonio devastato: www.spondasud.it; per maggiori informazioni sul sito archeologico di Ebla, in Siria: www.ebla.it)

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