
Calciomercato Milan: il tramonto di una ex grande squadra?
Dopo un inizio in sordina il calciomercato ha cominciato ad animarsi anche in Italia: la regina del mercato Juventus ha puntellato una squadra già forte con 3 acquisti di rilievo come Tevez, Llorente e Ogbonna; il Napoli ha investito il capitale acquisito dalla cessione di Cavani rinforzando tutti i reparti; la Fiorentina si è assicurata un bomber di primo livello come Mario Gomez, senza dimenticare l’innesto di Giuseppe Rossi. Anche la Roma sta muovendo i primi passi. L’Inter non ha ancora fatto grandi acquisti ma si è assicurata uno dei migliori allenatori italiani, ed è impegnata in una cessione societaria che dovrebbe portare ingenti capitali. La domanda sorge quindi spontanea: il Milan che fine ha fatto?
I problemi di bilancio sono arcinoti, anche se il presidente è fermamente intenzionato a non voler cedere la società. Inoltre, le vicende giudiziarie di Berlusconi rappresentano un ulteriore problema e non solo in termini finanziari: non a caso quando il Cavaliere seguiva il Milan in prima persona, le cose andavano molto meglio. Tuttavia, al di là dei soliti roboanti annunci all’insegna del mantra “siamo da scudetto”, ci sono alcuni aspetti da valutare che esulano da queste considerazioni, e che lasciano perplessi gli osservatori ed amareggiati i tifosi.
1) I ripetuti errori in sede di mercato. Il Milan è da sempre stato un attento e scaltro scopritore di talenti, e un abile valutatore del reale potenziale dei giocatori. Da alcuni anni a questa parte i dirigenti e gli esperti di mercato di via Turati sembrano aver perso l’orientamento. I giocatori che devono essere ceduti vengono trattenuti, con una conseguente svalutazione dei giocatori stessi e una successiva cessione tardiva e controproducente in termini monetari (si veda il caso Pato). Le cessioni, se necessarie, devono essere effettuate quando si può ricavare il massimo: Robinho non è stato venduto a gennaio e ora è rimasto sul groppone. Stesso dicasi per Boateng, da due anni ormai l’ombra del potenziale fuoriclasse visto in quel di San Siro durante il primo anno in rossonero: il ghanese non ha più mercato e resta a Milanello. I 10 milioni offerti dallo Zenit a gennaio per Abate sono stati rifiutati. Nello stesso mese Robinho poteva essere ceduto al Santos per una cifra attorno ai 7-8 milioni, ma il Milan ha rifiutato chiedendone 10. Il risultato è che a via Turati non si capitalizza e il mercato non decolla. Una semplice equazione. E, ad inizio agosto, i problemi palesati durante la scorsa stagione sono gli stessi: una squadra dal grande potenziale offensivo, ma bisognosa di importanti innesti sia a centrocampo che in difesa.
2) La questione allenatore. Allegri è stato confermato, ma il tormentone riguardo al suo rinnovo o alla sua cacciata si è trascinato per troppe settimane. Una situazione che non può far altro che infondere sfiducia nei giocatori, che vedono nel mister non una figura solida e stabile, bensì un uomo in bilico, bersagliato dalle critiche di un presidente che segue troppo poco la squadra per poter giudicarla in maniera obiettiva.
3) Lo stile Milan dov’è finito? Il club di via Turati ha sempre avuto un’immagine di totale coesione tra giocatori, società e allenatore. Un club granitico, costruito attorno ad alcune figure chiave (Galliani su tutte) che hanno saputo mantenere per decenni la squadra ad altissimi livelli. Tuttavia questo clima sembra cambiato: le scaramucce e le polemiche tra giocatori e allenatore o tra giocatori e società, che una volta rimanevano ben chiuse tra le stanze di Milanello, ora sgattaiolano verso l’esterno con molta (troppa?) facilità. Inoltre il trattamento riservato negli ultimi anni alle bandiere è un capitolo tristemente inedito nella storia recente del Milan. Si pensi al caso Ambrosini, l’ultimo della serie, con l’ormai ex capitano che viene scaricato, anche se desideroso di continuare la sua esperienza nel calcio giocato. Il risultato è stato l’approdo alla Fiorentina con un contratto annuale da 700.000 euro, una cifra più che abbordabile per le casse del Milan, società nella quale Ambrosini sarebbe probabilmente rimasto senza problemi anche per una cifra inferiore.
4) Primavera e giovani. La crisi impone un ridimensionamento del monte ingaggi e le cifre a disposizione per l’acquisto di nuovi giocatori si sono notevolmente ridotte. Si punta quindi sul vivaio, che comincia a dare i suoi sperati frutti (vedi De Sciglio). Ma siamo comunque lontani anni luce da quelle fucine di talenti come Barcellona, Bayern Monaco o Real Madrid: club che sfornano ogni anno campioncini di primo livello, dando loro fiducia sul campo e consentendone una maturazione tecnica e tattica senza eguali. La domanda sorge quindi spontanea: perché il Milan non punta veramente sul vivaio? Non è meglio investire qualche milione nel settore giovanile, piuttosto che riscattare i cartellini di giocatori sopravvalutati (il simpatico ma oggettivamente scarso Constant)? Non sarebbe forse meglio far esordire dei giovani talenti, piuttosto che rinnovare contratti a giocatori che grazie al Milan hanno gonfiato il proprio portafogli, senza tuttavia gonfiare le reti avversarie (tra i tanti Flamini, arrivato in pompa magna ma rivelatosi poi mai all’altezza delle aspettative)?
Il dubbio è che solo l’eventuale passaggio alla fase finale della Champions League potrebbe dare la spinta (e i capitali) per qualche innesto di prestigio. Una variabile, però, da non prendere troppo alla leggera, dando per scontato che il preliminare metta i rossoneri di fronte ad una squadra più che abbordabile. Soprattutto se, con un bagno di umiltà necessario in quel di via Turati, si inizia a guardare al prossimo campionato e a fare i conti con se stessi. Con i valori in campo attualmente, la zona Champions appare al momento un miraggio difficilmente raggiungibile. Ed il malumore e l’assenza di risultati sono il peggiore degli incubi possibili per una (ex?) grande del calcio europeo e mondiale.
Alberto Staiz
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