
Boldrini e Boschi? Come Berlusconi
Chi pensava che il problema dell’Italia fosse solo e soltanto Silvio Berlusconi, probabilmente da qualche mese è stordito. Non capisce bene cosa sta succedendo. Nonostante il leader di Forza Italia non abbia più un seggio in Parlamento, la classe politica italiana non è di certo migliorata. Forse, un po’ per volta, si sta capendo che il dramma del Bel Paese non era il Cavaliere in sé, ma la sua concezione del potere e della cosa pubblica. Concezione che (quasi) tutti gli schieramenti hanno fatto propria, al di là del colore politico.
LA SATIRA SECONDO SUA MAESTÀ BOLDRINI - C’è, per esempio, una straordinaria continuità fra Mediaset (cioè la famiglia Berlusconi) che nel 2003 querela Sabina Guzzanti dopo la prima puntata di Raiot provocando la chiusura del programma, e questa dichiarazione del presidente della Camera Laura Boldrini: «Mi è dispiaciuto vedere la satira della Boschi. Non ho visto quella sulla Pascale, ma se aveva gli stessi accenti sessisti mi sarebbe dispiaciuto. Ci sono tanti modi per fare satira, ma quando si cede al sessismo diventa altro e lo apprezza di meno». Ma chi si crede di essere la Boldrini? Colei che decide cosa è satira e cosa no? Prendersela con una comica – nel caso specifico la romana classe 1980 Virginia Raffaele – è il gesto più meschino che si possa fare. Perché un comico non è un politico o un giornalista, fa un’altra cosa. Come diceva Indro Montanelli, era il fascismo che proibiva la satira, i comici dovrebbero essere indenni da qualsiasi controllo politico. Ogni regime democratico che sia veramente tale deve accettare la satira e le caricature dei politici. Era Mussolini quello che non le sopportava. Si spera che alla Boldrini non torni in mente il MinCulPop. Sia mai che, in un momento di follia, pensasse di ripristinarlo in nome della guerra al sessismo.
BOSCHI? COME LA SANTANCHÈ - Ironia della sorte, altro simbolo della continuità con il Berlusconi-pensiero è proprio colei che è stata oggetto della satira di Virginia Raffaele: il ministro per le Riforme Costituzionali e per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi. Mercoledì 5 marzo la giovane avvocatessa di Montevarchi ha riferito alla Camera dei deputati: «Il Governo non chiede dimissioni di ministri o sottosegretari sulla base di un avviso di garanzia». Probabilmente Berlusconi ha pianto lacrime di gioia quando ha sentito queste parole. La nuova generazione di politici commette lo stesso errore della vecchia. Con l’unica differenza che, forse, i giovani sono in buona fede. Cosa che li rende ancora più pericolosi in quanto sono convinti di fare la cosa giusta. Confondere il piano politico con quello giudiziario è quanto di più sbagliato si possa fare. È ovvio che nessuno è colpevole fino a quando a stabilirlo è il terzo grado di giudizio. Ci mancherebbe altro, è la Costituzione a dirlo in modo inequivocabile. Ma non c’entra proprio niente con la questione squisitamente politica. Innanzitutto è giusto ricordare che chi riveste incarichi importanti, come per esempio il parlamentare o il sottosegretario, dovrebbe dare il buon esempio, dimostrare la massima trasparenza e, se rinviato a giudizio, difendersi da privato cittadino. Un uomo politico indagato è semplicemente non credibile. E a chiedere le sue dimissioni, prima ancora che gli esponenti del partito avversario, dovrebbero essere proprio i suoi compagni di partito. In un paese serio fanno così. In Italia, invece, ognuno difende la propria banda mentre solidarizza con i suoi compagni.
LEZIONI DA ISRAELE - Chiunque rivesta una carica pubblica dovrebbe imparare a memoria le parole dell’ex Primo ministro dello Stato di Israele Ehud Olmert: «Sono fiero di appartenere a uno Stato in cui un premier può essere investigato come un semplice cittadino. Un premier non può essere al di sopra della legge, ma nemmeno al di sotto. Se devo scegliere fra me, la consapevolezza di essere innocente, e il fatto che restando al mio posto possa mettere in grave imbarazzo il Paese che amo e che ho l’onore di rappresentare, non ho dubbi: mi faccio da parte perché anche il primo ministro dev’essere giudicato come gli altri». Bisognerebbe inoltre ricordare che non si devono sempre aspettare le sentenze per prendere una decisione. Se un genitore scopra che il babysitter a cui affida sua figlia è indagato per pedofilia, non aspetta certo il rinvio a giudizio o la condanna di terzo grado per non fargli più vedere sua figlia. Lo stesso principio vale quando si parla di chi amministra la cosa pubblica, in quanto prende decisioni che influenzano la vita di tutti i cittadini. Si sperava che per i giovani arrivati a Palazzo Chigi dopo Berlusconi queste cose fossero scontate, che avessero imparato la lezione. Invece sono addirittura più vecchi – politicamente parlando – di quelli di prima.
Giacomo Cangi
@GiacomoCangi
foto: melty.it; corriereweb.net; fanpage.it