Bagnasco, la Chiesa e lo Stato

Roma  – Ieri c’era Ruini che si scagliava contro i DICO in difesa della famiglia, oggi c’è Bagnasco che la difende di fronte alle misure previste nella manovra–bis che rischiano di affossarla invece di considerarla «il ganglio vitale, la cellula fondamentale – ha ricordato il Presidente della CEI – così come sempre è stato».

Tempi diversi, ma le due situazioni sottendono la stessa, eterna problematica: sino a che punto la Chiesa può entrare in faccende che riguardano lo Stato, qual è il confine, cioè, tra ingerenza e diritto di parlare.

Forse oggi il contrasto si avverte meno di quel non facile biennio (2006 – 2008), quando c’era Prodi alla guida del Paese; lo scontro ideologico in Parlamento (la cui composizione andava da Storace ai vari Diliberto) era così elevato che vi era una forte spaccatura tra clericali e laicisti, per cui spesso le esternazioni di Ruini (presidente della CEI fino al 2007) venivano viste come minacce alla laicità dello Stato.

In questi tempi di crisi non solo economica, la Chiesa, con Bagnasco è tornata a far sentire con forza la sua voce, richiamando l’intero corpo sociale ad una maggiore unione e solidarietà e il mondo della politica ad imporsi «una decisa e radicale svolta tanto nelle parole quanto nei comportamenti».

Come valutare dunque queste posizioni in relazione alla vita politica del nostro Paese?

Il giornalista Piero Ostellino, quando ai tempi dei DICO imperversava la bufera tra mondo cattolico e mondo laicista, disse una verità tanto “banale” quanto importante, e cioè che «l’Italia è un Paese libero, dove c’è libertà di opinione. Perché non dovrebbero averla anche i vescovi?»
Da qui infatti si deve partire per affrontare la questione: da questo diritto cui tutti, nessuno escluso, devono essere lasciati liberi di esercitare. Ciò che cambia, è il peso delle opinioni.

Le parole della Chiesa, per il ruolo che esercita, il seguito e la capacità di influenza che essa ha tra la gente, hanno un peso ben diverso rispetto a quelle di qualsiasi “comune” cittadino. Ciò non può essere un pretesto per ridurre al minimo la voce clericale nella nostra società, ma deve essere un parametro secondo cui orientare e dare la giusta dimensione alle sue esternazioni.

All’interno di una quadro che sancisce, per legge, la separazione tra potere temporale e potere spirituale, non è certo scorretto, anzi è doveroso per quest’ultima richiamare i credenti ai valori cristiani, ma non solo.
La sua partecipazione alla vita sociale del Paese è anzi di assoluta importanza ogniqualvolta il dibattito affronti tematiche riguardanti l’etica e la morale. Questo perché il mondo cristiano, e quindi la Chiesa, è depositario di un patrimonio di valori che possono essere messi a confronto con quelli degli altri e di cui alcuni, come la solidarietà, la giustizia, il rispetto della persona umana e l’onestà, hanno una connotazione pubblica e non possono non essere valori condivisi nel campo della politica e della vita sociale.

Non è però altrettanto corretto che la Chiesa, data anche la sua vocazione essenzialmente spirituale, scenda direttamente nel dibattito prettamente politico, analizzando e giudicando pubblicamente singole iniziative e provvedimenti e dando indicazioni di voto. O ancor di più, facendo pressione sui politici, i quali sono chiamati a legiferare nell’interesse di tutti i cittadini, indistintamente dal loro credo religioso, cercando di coniugare il loro sentimento di fede con il loro mandato.

Certo sono finiti i tempi in cui la Chiesa, attraverso la Democrazia Cristiana, godeva di una forte rappresentanza nella vita politica, potendo così controllare meglio la società italiana.
Ma alla caduta della DC non è seguita una minore capacità d’influenza della Chiesa nella vita del Paese.

Come quell’estate del 2005, quando si andò a votare per i referendum indetti per l’abrogazione di alcune parti della legge sulla fecondazione assistita. Tema eticamente sensibile, quindi fu giusto e doveroso che la gerarchia ecclesiastica esprimesse le sue ragioni in merito, ma non si limitò a questo. Ruini, affinché non si raggiungesse il quorum necessario alla validità della votazione, invitò gli italiani a disertare le urne.

È questo il confine che la Chiesa non poche volte, anche recentemente, ha superato, poiché infatti «non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno» (Documento sull’impegno dei cattolici in politica emanato nel 2002 dalla Congregazione per la Dottrina della fede).

Per questo, come ricordava il priore di Bose Enzo Bianchi, lo spazio in cui le gerarchie ecclesiastiche devono mantenersi è quello “pre-economico e pre-politico […] fermandosi sul terreno delle indicazioni profetiche, senza spingersi a suggerire o a esigere soluzioni tecniche, che devono invece essere vagliate e scelte dai fedeli nel confronto con le altre componenti, anche non religiose, della società” (Stampa, 7/8/2005).

Allora, nell’occasione del referendum del 2005, la Chiesa si comportò come un partito politico, poiché impartì una vera e propria indicazione elettorale. Successe coi DICO, quando non si limitò ad indicare una via da seguire, ma lanciò una campagna contro quella che era una proposta di legge. Successe pochi mesi fa, quando invitò i cittadini ad andare a votare per il referendum di giungo, ed appoggiò, anche se non in via ufficiale, il si per l’eliminazione della legge sulla privatizzazione dell’acqua.

E forse sta succedendo anche oggi, con Bagnasco che entra nel merito della manovra finanziaria, giudicando le misure previste deleterie per la famiglia ed insufficienti sia per la crescita che per la lotta all’evasione fiscale.

Come comportarsi, dunque, di fronte a questa esuberanza da parte delle gerarchie ecclesiastiche?

Il bavaglio non può  certo essere la soluzione. «Uno Stato laico e liberale – ricorda Sergio Romano in Libera Chiesa. Libero Stato? – non censura e non approva: si limita a dirigere il traffico delle opinioni».

Bisogna invece rivolgersi ai politici, sui quali  ricade la responsabilità di costruire una società sulla base di valori laici (che possono anche coincidere con quelli cristiani): sono loro che prendono le decisioni ultime, sono loro che, in base alle scelte, spostano la  bussola dello Stato, dandogli ora una direzione, ora un’altra.
In funzione di ciò è da loro, e non tanto dalla Chiesa, che si deve pretendere un comportamento laico e libero da ogni condizionamento.

Che imparino dunque ad essere veramente liberi,  e che non abbiano timore, come ricorda Ostelllino, di dire, in piena libertà di coscienza, di fronte alle esternazioni della Chiesa, non possumus.

Tommaso Tavormina

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