
‘Vite strappate in Italia dagli anni ’70 ad oggi’. Il j’accuse di Antonella Betti
Con "Vite strappate in Italia dagli anni '70 ad oggi" Antonella Betti punta il dito contro l' "olocausto di bambini" perpetrato ai danni dei minori e delle loro famiglie
Non è affatto facile provare a prendere una posizione critica nei confronti di Vite strappate in Italia dagli anni ’70 ad oggi, una sorta di vero e proprio “j’accuse” con cui l’assistente sociale, giornalista e scrittrice romana Antonella Betti intende attirare seriamente l’attenzione su un dato gravissimo della nostra contemporaneità: il fenomeno degli allontanamenti coatti dei bambini dalle loro famiglie di origine, con conseguente estensione del discorso alle dolorosissime piaghe delle adozioni e degli affidi spesso di non chiara legalità per quanto riguarda modalità e documentazioni.
Non è affatto facile parlare di questo libro perché molti dei fatti delineati sono tristemente noti e tra le varie accortezze da mantenere (in primis un doveroso senso di consapevolezza da tenere sempre vivo nei confronti di un argomento estremamente delicato da trattare) c’è anche quella di un giudizio professionale che, per alcuni casi, rischia di travalicare il limite dell’obiezione personale puntando il dito contro specifici rappresentanti delle più alte sfere giuridiche e istituzionali che possono anche non rientrare nella cerchia delle lampanti mele marce. Quello che si può e si deve fare, però, è vestire i panni dell’autrice per cercare di assorbirne, fin dove possibile, scopi e motivazioni.
In prima istanza, c’è da evidenziare un dato tutt’altro che irrilevante: Antonella Betti – stando a quanto afferma di per sé nel corpo del testo e in base a ciò che lei stessa amplifica nel corso di presentazioni e interviste – parla in qualità di parte lesa, quindi – si intuisce – direttamente a conoscenza di specifiche dinamiche e relativi doppi giochi. Vite strappate in Italia dagli anni ’70 ad oggi (edito da Italia Semplice) è infatti un vera e propria autobiografia d’inchiesta, che parte, cioè, dal difficile vissuto personale dell’autrice per poi estendere il raggio d’azione discorsivo a un ventaglio ben più largo di riferimenti a fatti storici e spunti di cronaca che coinvolgono settori istituzionali ben specifici dell’Italia degli ultimi cinquant’anni (almeno).
Forte di una professionalità che deriva dalla duratura esperienza a stretto contatto con la collettività (assistente sociale e operatrice socio-sanitaria, ma anche fondatrice dell’Associazione Promozione Sociale “Help & First Aid: Minori e Famiglie Roma”, Onlus di cui è presidente e legale rappresentante), Betti mette la sua esperienza al servizio dell’analisi storica e, soprattutto, di un resoconto attuale tutt’altro che docile e privo di mordente. I giri di parole sono ben pochi: quello che Betti intende fare è mettere sotto processo etico e morale (oltre che penale) tutti gli enti istituzionali che hanno avuto voce disonesta e intenzioni di guadagno sulla pelle di poveri innocenti sottratti ai nuclei familiari per futili motivi e in funzione di becera compravendita.
Quello che un resoconto come Vite strappate in Italia dagli anni ’70 ad oggi dispiega agli occhi del lettore e del cittadino comune è un resoconto disarmante, carico di dolore e di pessimismo nei confronti di quello che viene definito un “olocausto di bambini“, contati complessivamente in circa quarantamila unità, alcune delle quali innalzate a portabandiera di voci identificate come silenziate da un sistema troppo spesso svelato come corrotto.
Nel discorso messo in tavola e portato avanti da Antonella Betti in Vite strappate in Italia dagli anni ’70 ad oggi non vengono risparmiate neanche le case-famiglia, molte delle quali accusate di essere il nucleo di un business incentrato sui contributi pubblici in entrata. Ma potente è proprio l’intero passare in rassegna di un vasto numero di fatti che, posti in essere nella maniera prescelta dall’autrice, certamente arrivano ad essere identificati come delle verità a dir poco agghiaccianti.
L’accusa che Betti lancia all’intero sistema nazionale è sostanzialmente quella di aver sempre avuto sotto gli occhi una situazione complessa ma chiara e non aver mai fatto niente per contrastarla. Attraverso un linguaggio giornalistico intriso di grande passionalità e spunto riflessivo personale, Betti dispiega tutto il suo ventaglio di inchieste che partono dal vissuto individuale per poi estendere la valutazione verso obiettivi di consapevolezza nei confronti della necessità di una serissima tutela dei diritti dell’infanzia che si fondi sull’importanza non di constatarne la sola incidenza, ma di evidenziarle la richiesta di aiuto affinché l’indiscutibile fragilità di molti nuclei familiari diventi una forza da cui ripartire e non pretesto per scopi terzi.
C’è un estremo bisogno di amore e giustizia (non giustizialismo) in concreta funzione di un futuro migliore, tra le righe di questo atto di così potente accusa nei confronti di lacune sia legislative che umane da colmare per un cambiamento che possa far sperare anche in una chiarezza giuridica attualmente alquanto assente in merito a un così fragile argomento.
Stefano Gallone
@SteGallone