“Unhappy hour”: intervista al giornalista e promettente neo-scrittore Andrea Indini

Quattro chiacchiere in compagnia del brillante autore di “Unhappy Hour”, che ci rivela il suo zampino dietro i numerosi cartelli comparsi per Milano, in queste settimane, riguardanti una misteriosa “Ally”


di Nadia Galliano

Andrea Indini

Andrea Indini, trent’anni, giornalista de Il Giornale.it ed ora scrittore del libro “Unhappy hour” (Leone Editore). Qual è l’argomento di questo tuo primo romanzo?
Il libro nasce dall’inchiesta “Anfetamine a colazione”, che ho condotto, circa due anni fa, per IlGiornale.it: quello che ho voluto raccontare, non è un viaggio tout court nel mondo dei giovani, ma un’analisi romanzata dei giovani e lo sballo. Durante l’inchiesta ho incontrato una serie di personaggi che mi hanno colpito particolarmente e, da lì, è nata l’idea per questo romanzo. Si parte insomma da storie vere; anche se poi, ovviamente, un po’ di finzione c’è, per poter legare meglio i vari personaggi.
Alcuni adulti, che hanno letto il libro, l’hanno trovato addirittura troppo esagerato, perché secondo loro, non è possibile che la realtà sia veramente come quella che racconto nel libro. Devo ammettere che questo mi ha spaventato, perché significa che, spesso, gli adulti non conoscono affatto il mondo dei giovani d’oggi.

Mi sembra di capire che il libro non dia un’immagine positiva dei giovani. Credi anche tu che ci sia una generazione bruciata?
No, il libro non vuole essere un’accusa; è soprattutto un lavoro giornalistico: alla fine del romanzo, infatti, sono riportati tutti gli articoli che ho scritto, per evidenziare la corrispondenza con il reale.
Nel romanzo, prendo soprattutto in esame i classici “figli di papà” della Milano bene: dei dieci personaggi (circa), che compaiono nel libro, ce ne sono alcuni positivi ed altri meno. Per citarne qualcuno, troviamo il PR che trascina il branco e che organizza le serate in discoteca oppure il ricco neo-laureato, che non ha voglia di andare a lavorare e tocca ai genitori intervenire per trovargli un lavoro.
All’inizio, avevo pensato di intitolarlo “Impuniti”, perché l’idea che accomuna un po’ tutti i personaggi è l’andare avanti nel corso delle giornate senza troppi problemi, anche nelle situazioni estreme, come può essere addirittura un omicidio.

Non credi, però, che i giovani d’oggi vengano demonizzati un po’ troppo spesso?
E’ verissimo, infatti io non voglio incolpare nessuno. Effettivamente, però, tanti giovani fanno uso di stupefacenti, anche se leggeri, come può essere una canna: il problema è che, spesso, si rischia o di far passare il messaggio “ma sì, tanto lo fanno tutti, quindi non c’è problema”, oppure di generalizzare, demonizzando tutto il mondo giovanile.
Ecco perché è necessario prendere un po’ le distanze da questi estremismi, senza mai scordarsi, però, che i dati del Ministero parlano chiaro sull’argomento giovani e droga.

Nel tuo libro, da che cosa nasce il “malessere” dei giovani che racconti? E tu, ne hai mai sofferto?
Il fatto che siano ricchi “figli di papà” è uno dei motivi che li porta a perdersi: con questo, però, non voglio puntare il dito contro la ricchezza. Diciamo che è una facilità: uscire tutte le sere ed avere la possibilità di spendere in alcolici e droghe, nei locali più alla moda del momento, sicuramente può facilitare questa perdizione.
Per quanto mi riguarda, io ho avuto la fortuna di avere come passione il giornalismo, iniziando a lavorare a ventidue anni: questo mi ha aiutato tanto, perché credo sia veramente difficile conciliare il lavoro con quella tipologia di vita.

Credi che la realtà urbana possa influire sui giovani?
Se per realtà urbana intendi società, allora sì, ti do ragione. Finchè sui giornali ci saranno notizie di personaggi come Kate Moss, che dichiara di essersi drogata, poi decide di andare in riabilitazione e, dopo pochissimo tempo, torna a lavorare come se nulla fosse, allora la cocaina, o chi per essa, continuerà a rimanere di moda e passerà il messaggio che disintossicarsi sia una passeggiata.

Hai deciso di ambientare “Unhappy hour” a Milano, città in cui sei nato e vivi tuttora. Perché hai scelto questa città?
Sicuramente Milano è una delle protagoniste del romanzo: a mio parere, è una città fantastica e, infatti, nel libro ne parlo molto spesso. E’ una presenza costante, come se fosse l’undicesima protagonista del romanzo. Si passa dalle discoteche più importanti, come lo Shocking, il Limelight e il The Club, ai locali come il Radetzky; poi c’è il Panino Giusto, le università: insomma, un po’ tutto. Io sono di Milano e questi posti li conosco da sempre.
Sai, la cosa strana è che molti parlano male di Milano, ma alla fine vengono a vivere proprio qui: per esempio, molti criticano il fatto che sia difficile conoscersi, ma a mio parere quest’affermazione non rappresenta assolutamente la realtà.

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Una risposta a “Unhappy hour”: intervista al giornalista e promettente neo-scrittore Andrea Indini

  1. avatar
    Alfredo 29/09/2010 a 13:48

    Ho comprato questo libro perchè mi occupo di sociologia ed in particolare di disagio giovanile.
    Trattandosi di un romanzo non mi aspettavo granchè, sicuramente non un trattato sui motivi del
    disagio nei giovani della cosiddetta “Milano bene”.

    Ciò nonostante, nemmeno mi aspettavo una delusione del genere! Il libro è scritto piuttosto
    male e si fa veramente fatica a seguire il filo narrativo, contorto quanto basta e in grado
    di ridefinire il concetto stesso di “volo pindarico”, ma se vogliamo non è nemmeno questo il
    problema principale del libro. Quello che più mi sconcerta, trattandosi di un romanzo “denuncia”
    sulla realtà dei tanti giovani annoiati figli di papà, è che questo libro non ha in se niente della
    realtà che vorrebbe denunciare! Vi si leggono storie strampalate di chi forse queste scene non
    le ha vissute ma sentite raccontare, ingigantite e falsificate, dagli amici degli amici… La storia
    sa di fasullo, i personaggi sono più che altro stereotipi e mancano della profondità necessaria
    a capire che si tratta pur sempre di esseri umani; viene anzi da pensare che si tratti del frutto
    dell’immaginazione (neanche tanto fervida, aggiungo) dell’autore: Andrea Indini.

    Se volete un consiglio state alla larga da questo libro e riprendete in mano il caro vecchio
    Bukowski, pur trattandosi di libri vecchiotti, troverete più autentica una di quelle vecchie
    pagine che l’intero romanzo “Unhappy Hour”.

    Alfredo.

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