
“Milano è out of fashion? Lo vuole lei”: intervista a Massimo Crivelli
Milano – Lo stilista di successo Massimo Crivelli, ideatore del marchio omonimo Massimo Crivelli Milano, ci ha accolto nella sua nuova boutique milanese di Via Camperio, in un’atmosfera intima e familiare, in cui poter essere liberi di indossare abiti e quant’altro.
“Ci teniamo molto a creare e ricreare ogni stagione un posto che sappia di casa per le nostre collezioni” – ci confessa il suo socio in affari, Mirko La Grassa. In un’atmosfera così accogliente, la nostra redazione ne ha approfittato per porre alcune domande a Massimo Crivelli, a tutto tondo sul suo lavoro e sul mondo della moda.
Dopo aver studiato giurisprudenza, lei ha deciso di cambiare rotta e gettarsi nel magico mondo della moda: scelta molto ardita…
Era destino che fosse così: non è stata neanche una scelta, nel senso che tutto è stato guidato dagli eventi in modo naturale, anche se, certamente, vi era una forte predisposizione personale. In realtà, questo è il lavoro che avrei voluto fare sin da bambino: sono nato in mezzo ai tessuti, respirando questo tipo di cultura, lavoro e tradizione. E poi devo ammettere che ho sempre giocato a “mascherarmi” o, meglio, a vestirmi “da qualcosa”, in modo da poter cambiare di ruolo, come in un film che si svolge quotidianamente. Sì, la moda mi ha sempre affascinato; mi ricordo ancora l’entusiasmo e l’emozione di quando prendevo i treni per venire qui a Milano a veder le sfilate, sperando di riuscire ad entrare… Di sicuro ho sempre usato la creatività per allestire l’ambiente in cui vivevo, per creare un’atmosfera, una scenografia, questa è una necessità che ho sempre sentito e che sento ancora oggi; raramente il mio atelier ha lo stesso aspetto per più di due settimane. Poi però, come spesso accade, arriva il momento in cui qualcuno ti dice che “devi essere serio, devi comportarti da persona matura che calibra le proprie scelte” e tu quasi ti autoconvinci, prendendo una strada diversa, che per me doveva essere quella della carriera legale. Ma dopo essermi laureato in giurisprudenza, (cosa di cui sono ben felice, visto come bisogna sapersi difendere nel mondo della moda) il destino ha fatto la sua parte e la mia vita ha subito cambiamenti radicali e inaspettati, sia personali che non, ed è lì che ho incominciato a muovere i primi passi nel mio vero mondo. Ho trovato un lavoro nel campo della moda, ho fatto la gavetta, cimentandomi in tutte le varie sfaccettature lavorative di questa professione. Sono stato molto rapido nei tempi, questo sì lo devo ammettere, ma non perché io sia particolarmente intraprendente, anzi sono molto pigro; più che altro, ho voluto imparare tutto quello che ho potuto nei diversi settori: e forse questo, insieme all’incoscienza di quegli anni, mi ha aiutato ad emergere più rapidamente.
Andando avanti nel mio percorso, ho lavorato per un marchio internazionale che mi ha fatto crescere molto. Lì abbiamo fatto grandi cose, divertendoci e sperimentando nuove idee, fino a quando ho deciso di mettermi in proprio e creare una mia collezione. La motivazione? Un po’ perché l’ispirazione ti sorprende quando meno te lo aspetti e un po’ perché sei spinto da qualcuno, come nel mio caso dalle donne, le mie amiche più care. E così, per la seconda volta nella mia vita, mi sono ritrovato a mollare tutto quello che avevo costruito fino ad allora: mi sono rimesso in gioco, rilanciandomi in questa nuova avventura come marchio indipendente. E un primo autentico successo personale l’ho ottenuto, quello di essermi riconciliato con gli anni della mia infanzia: quel periodo in cui sogni, ma hai paura di mettere in pratica quello che davvero ti appassiona. Ecco, mi sono riconnesso con quei sogni, ma questa volta senza paura: ho ricominciato ad andare a ruota libera, tornando alle mie origini.
Quali ostacoli ha trovato sul suo percorso?
Molti, come sempre accade a chi inizia, ma ad essere sincero, uno degli ostacoli che incontro quotidianamente è la mia pigrizia, vizio che a volte credo di “coltivare”. Per raggiungere dei buoni risultati economici oggi bisogna combattere senza sosta e con grande aggressività. Io potrei fare sicuramente di più, ma diciamo che amo anche vivere bene. Poi, ovviamente, il mondo della moda è una realtà particolarmente dura, i tempi sono quelli che sono e ci vuole sicuramente un po’ di pazienza in tutto. Ma per quanti ostacoli si possano trovare sul percorso, ci sono altrettante soddisfazioni che ti danno la forza per andare avanti.
Se dovesse darmi tre aggettivi per definire se stesso e le sue collezioni, quali sarebbero?
Tre sono tanti. (Sorride). Direi libero io e libera la mia collezione, moderatamente spettacolare e legata ad un concetto di sobrietà ed eleganza. Se mi permette, aggiungerei anche insoddisfatto, sia io che la collezione: c’è sempre quel margine di miglioramento che si può e si deve tentare di raggiungere.
Effettivamente, io sono sempre molto critico, anche perché vorrei realizzare dei “ponti sospesi fatti di nulla”: ci si scontra con la realtà e con le leggi della fisica, però.
Senza essere troppo spocchiosi, aggiungerei anche colto: ogni volta che creo una nuova collezione, cerco di darle una propria personalità, un filo conduttore, quasi a voler creare un racconto figurato; ed inoltre inserisco sempre, per inclinazione personale, un richiamo verso realtà al di fuori della moda pura, come per esempio il design industriale e l’architettura.
Massimo Crivelli e Mikael Kenta
Se non erro, la sua nuova campagna pubblicitaria è stata affidata al fotografo, nonché amico, Mikael Kenta: com’è nato il vostro rapporto lavorativo?
Ci siamo conosciuti tempo fa, prima che facesse il programma televisivo Modeland, in cui ci siamo tra l’altro incontrati nuovamente: poco tempo prima, l’avevo conosciuto sul lavoro, mi era stato presentato come fotografo. Provo un grande affetto per lui, perché è una persona molto trasparente ed umanamente molto onesta: ha grandi principi e notevoli capacità, ed anche lui, come me, è un po’ distaccato dal mondo della moda, nel senso che ha un suo mondo personale. E’ un fotografo di talento, non solamente bravo tecnicamente: è più calato nella realtà ed è in grado di far diventare tangibile e fruibile un mio pensiero, un’emozione o un’immagine che rischia di rimanere nella mia “torre d’avorio”. Lui riesce a portarla a contatto con la realtà: potremmo dire che compie una sorta di operazione di “contaminazione” con il mondo che ci circonda, dando immediatezza percettiva a quello che io lascio solamente intravvedere o trapelare senza la sicurezza che quel significato sia poi realmente visto da tutti.
Può darci delle anticipazioni sulla sua nuova campagna pubblicitaria Primavera/Estate 2011?
No…(Scherza). In realtà la collezione estiva è una collezione molto epidermica, vuole dare ovviamente l’idea di mare e vacanze estive, legandola però all’immagine di una ragazza un po’ bambina: infatti le immagini, le forme e i volumi sono “mutuati” dai giochi da spiaggia, o meglio, dei giochi tipici delle vacanze dei bimbi. Il tutto tratteggiato con pennellate sottili, romantiche, evocative, alla Dufy per intenderci. Questi richiami all’infanzia fanno parte non solo del mio passato, ma di quello di tutti: è un concetto che ho vissuto io, come l’hai vissuto tu.
Questo è quello che vorrei far emergere. Ed il contributo di Kenta sarà quello di tirar fuori da una situazione così onirica un aspetto più a contatto con la realtà.
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